3/28/2008

Giorgos Seferis - Per un'Elena.

Usignolo pudico,tu doni, nel respiro delle foglie,la musica rugiada della selva
ai separati corpi, all’anima
di chi sa bene che non tornerà.
Cieca voce, che tenti,nella memoria dove annota,passi e gesti

– non oso dire baci –e l’amaro tumulto della schiava esacerbata.
«A Platres non ti fanno dormire gli usignoli»
Platres! Cos’è? Quest’isola chi la conosce?

Ho vissuto una vita udendo nomi
inauditi:luoghi nuovi, follie nuove degli uomini o degli dei.
La mia sorte che fluttua

fra la suprema spada d’un Aiace
e un’altra Salamina m’ha trascinato in questo litorale.
La luna è uscita come Afrodite dal mare:ha sbiadito le stelle del Sagittario,

mira al cuore dello Scorpione, e già tramuta tutto .
Dov’è la verità?Ero anch’io “sagittario” alla guerra:il mio destino,

quello d’un uomo che fallì bersagli.
Usignolo poetico,era così la notte, sulle rive di Proteo:

t’udirono le schiave spartane,
e trassero lamento:fra loro – chi l’avrebbe detto? – Elena!
Quella cui lunga caccia demmo sullo Scafandro.

Era sugli orli del deserto. La toccai, mi parlò:
«Non è vero» gridava «non è vero.Non andai sulla nave azzurroprora.
Piede non posi mai sulla gagliarda Troia».
Altocinta, col sole nei capelli,e quel suo portamento,ombre e sorrisi ovunque

sugli omeri sui fianchi sui ginocchi,pelle viva,
e quegli occhi con le palpebre immense,era là, sulla proda d’un Delta.
E a Troia? Nulla,nulla a Troia – un fantasma.Volontà degli dei.
E Paride giacque con un’ombra

quasi che fosse cosa salda; e noi
ci sgozzammo per Elena, dieci anni.
Sulla Grecia piombò grave travaglio.Tanti corpi gittati

Nelle fauci del mare, nelle fauci della terra,
e le anime consegnate alla mole, come grano.
I fiumi si gonfiavano, tra la melma, di sangue

per un fluttuare di lino, una nuvola,per uno scarto di farfalla,
una piuma di cigno,per una spoglia vuota, per un’Elena.
E mio fratello?Usignolo usignolo usignolo,che cos’è dio? Cosa non dio?

Che cosa tra l’uno e l’altro?
«A Platres non ti fanno dormire gli usignoli»
Flebile uccello,a Cipro baciata dal mare

che m’evoca – è la mia sorte – la patria
sono approdato solo, con questa bella favola, se è vero
che l’uomo più non trovera’l’inganno antico degli dei;se è vero
che a gran distanza d’anni, un altro Teucroun altro Aiace, o un Priamo
o un’Ecuba o un anonimo ignoto, che abbia visto
tuttavia traboccare di corpi uno Scafandro,non abbia
questa sorte nel suo fato:di sentire arrivare messaggeri
con la nuova che tanto travaglio, tante vite
sono finiti nel baratro
per una spoglia vuota, per un’Elena.

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